Intervista ad Antonella Tomeo Funzionario della Soprintendenza di Caserta e Benevento

I tesori della Antica Capua: intervista ad Antonella Tomeo funzionario della Soprintendenza di Caserta e Benevento

La recente apertura della nuova area archeologica di via Galatina a Santa Maria Capua Vetere ha riacceso l’entusiasmo della gente comune per l’immenso e inestimabile patrimonio culturale dell’Antica Capua e più in generale della provincia di Caserta. Noi di Magna Capys – Grande Capua abbiamo interpellato uno dei massimi esperti in materia, la dott.ssa Antonella Tomeo, autrice di alcuni libri nonché funzionario della Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio di Caserta e Benevento.

Gentile dottoressa Tomeo, può raccontarci come è stata rinvenuta questa area archeologica e qual’ è l’importanza di un simile ritrovamento?

«Per quanto riguarda l’area archeologica di Via Galatina in effetti, è stato un incontro fortunato tra l’esigenza della attività di tutela e la possibilità di rendere fruibile e di valorizzare il frutto di questa attività di tutela, grazie ad una collaborazione instaurata con la committenza, quindi con il privato che doveva realizzare un edificio con una vocazione commerciale.

Quest’ultimo ha dato la sua disponibilità per creare un’area che fosse disponibile a tutti e che rimane aperta al pubblico nell’orario di apertura dell’attività commerciale che va dalle 8 di mattina alle 10 di sera. Grazie a questa sinergia tra soprintendenza e committenza si è riusciti a rendere fruibile l’area archeologica dotandola di pannelli espositivi. L’idea è quella di completare la fruizione con varie attività come visite guidate e la possibilità di collaborazioni con associazioni locali in modo tale da far sì, che quest’area mantenga una sua vitalità.

Parliamo di un area localizzata ai piedi del Monte Tifata che è in qualche modo anche un simbolo della città antica. Ci troviamo in un area che si trova immediatamente all’esterno del centro antico ed era destinata a necropoli, questo già si sapeva, perché proprio in quell’area oltre a lembi di necropoli sono state scavate anche tombe di notevole importanza. Questi ritrovamenti hanno dato un contributo anche dal punto di vista scientifico, della conoscenza dell’organizzazione di questa necropoli e della tipologia delle tombe monumentali che si trovavano in questa necropoli: uno degli esempi è la Tomba di Stallia che attualmente è visibile presso il museo dell’Antica Capua, il cui allestimento è stato curato dalla direzione regionale musei.

Noi abbiamo trovato un lembo della necropoli accanto a questo edificio che era un edificio monumentale sempre di carattere sepolcrale. Oltre a questo però ci sono tutta una serie di elementi che sono precedenti alla organizzazione del territorio della colonia romana, inquanto c’è un tratto di viabilità attiguo l’edificio sepolcrale circolare attualmente visibile che quindi ci racconta anche di quelle che erano le infrastrutture di questo centro. Questa strada puntava direttamente verso il Tifata, quindi verso quest’area, che aveva una valenza simbolica importante per la città, in quanto sede di luoghi di culto. Ben noto a tutti il tempio cosiddetto di Diana oltre al tempio cosiddetto di Giove quindi quest’area era un polo di carattere religioso e mortuale che ha sempre avuto una forte valenza di carattere simbolico per la città in quanto in questi luoghi si ricercavano le sue origini e i suoi miti con la presenza di Capys»

Recentemente abbiamo appreso dalla stampa locale che durante alcuni lavori di scavo a San Prisco è stata ritrovata quella che sembra una tomba di età romana. In base ai rilievi che sono ancora incorso può anticipare qualcosa di nuovo ai nostri lettori?

«Le posso dire che in effetti a livello giornalistico era stata data la notizia che era stato ritrovato un monumento funerario anche a San prisco. In questo momento sono in corso gli scavi e gli approfondimenti in quest’area dove deve essere realizzata una chiesa e anche in quel caso abbiamo tutta una serie di elementi i quali ci consentono di dire con certezza che non ci troviamo davanti ad un monumento funerario romano, smentendo quindi l’interpretazione che era stata data dai giornalisti per la forma circolare di questo impianto.

In effetti questo impianto ha una valenza artigianale perché si tratta di una grossa fornace funzionale alla realizzazione di manufatti in ceramica ed infatti abbiamo rinvenuto tutta una serie di elementi che lo testimoniano. Ci troviamo difatti nell’area orientale della città, un’area periferica che evidentemente era destinata anche ad attività produttive e questo elemento va ad associarsi ad altri elementi molto antichi di grande rilevanza perché ci dà delle informazioni molto importanti sull’organizzazione topografica dell’area dell’Antica Capua.

Oltre a questo abbiamo anche degli elementi molto interessanti relativi a quel a che doveva essere la presenza di infrastrutture, perché abbiamo rinvenuto delle canalizzazioni che hanno avuto una loro funzionalità fino a tempi piuttosto recenti, fino agli anni ’40, ‘50 del secolo scorso quando sono state tombate, esponendo il territorio a tutti i problemi di inondazioni che oggi abbiamo che derivano anche da queste attività.

Inoltre abbiamo tutta una serie di infrastrutture che ci dicono che quell’area è stata utilizzata per lungo tempo con una preesistenza di una necropoli molto antica risalente all’ottavo / settimo secolo avanti cristo, una serie di battuti stradali che avevano tutto lo stesso orientamento e che vengono ripristinati proprio a testimonianza che erano vie di collegamento di notevole importanza e accanto a queste strade queste canalizzazioni, che in parte naturali e in parte realizzate dall’uomo, venivano costantemente manutenute dall’uomo proprio per consentire una migliore fruizione di quelle aree della città»

Recentemente nel corso di un evento un suo collega accennò ad un’altra importante novità riguardante sempre il territorio di San Prisco. Si parlò in particolare delle Carceri Vecchie per le quali la Soprintendenza pensava ad un progetto di riqualificazione. Ci può dire qualcosa in più? 

«Questo è un progetto che è nato con la Soprintendenza di Caserta e Benevento grazie al quale è stata avviata una progettazione che darà la possibilità di effettuare un restauro del monumento funerario che affacciava sull’Appia e che insieme alla Conocchia nel corso del tempo ha sempre caratterizzato la topografia del territorio.

Attualmente le carceri vecchie ricadono nel Comune di San Prisco e la conocchia ricade nel Comune di Curti ma in effetti questi monumenti facevano parte dell’area orientale dell’Antica Capua. Infatti i comuni di Capua moderna, l’attuale Santa Maria Capua Vetere ed i comuni di Curti e San Prisco costituivano un unicum nell’antichità. Quindi questi monumenti affacciavano poi su un arteria stradale importantissima quale appunto era l’Appia su cui in questi ultimi tempi si è puntato alla sua candidatura come sito Unesco.

L’Appia è stata interessata da tutta una serie di attività, anche di scavo, che entrano nel progetto Appia Regina Viarum che ha consentito di aggiungere nuovi tasselli alla conoscenza di questo tracciato viario straordinario che congiungeva Roma a Brindisi e che aveva un passaggio importante in tutta quanta l’area campana compresa tra le provincie di Caserta e di Benevento.  Nella provincia di Caserta e Benevento infatti il tracciato viario si conserva almeno in alcuni punti ed in altri ipotizzabile e rappresenta appunto la fase più antica dell’appia Claudia e poi nel Beneventano ad un certo punto all’inizio del secondo secolo dopo cristo viene realizzata l’appia Traiana che costituisce una variante e collega in maniera più rapida e diretta il territorio dell’antico Sannio con l’area di Brindisi.

Quindi su questo monumento è previsto questo progetto che probabilmente prevederà delle novità proprio per quanto riguarda l’accesso stesso perché sappiamo che questo monumento è parte della muratura e parzialmente inglobata in questa chiesa. Ed è proprio la chiesa di Santa Maria della Libera, realizzata dopo il 1834, che in effetti va un po’ va a trasformare quella che era la fisionomia originaria del monumento in quanto l’accesso viene appunto murato mentre l’accesso attuale è ricavato in un’apertura all’interno della muratura.

È probabile che questo progetto avrà la funzione di riportare a quella che era la sua fisionomia originale con pieno rispetto di quello che è l’edificio sacro , che verrà conservato ma con la possibilità di un accesso sul fronte della strada. Attualmente questo monumento è in fase di consegna perché passerà dalla Soprintendenza alla Direzione Regionale Musei che continuerà quest’attività progettuale e di realizzazione poi dei lavori che era stata avviata dalla Soprintendenza»

Dunque abbiamo visto che quella di Via Galatina è stata la prima di una lunga serie di novità. Un altro recente comunicato della soprintendenza ha annunciato il recupero di un ulteriore sito archeologico nella Città del Foro, ovvero sia il cosiddetto Castellum Aquae. Ci può parlare di questa importante apertura e di quando potremo visitare questo nuovo sito archeologico?

«Noi come Soprintendenza abbiamo eseguito un intervento al Castellum Acquae ma come sempre nell’ambito di questo progetto Appia Regina Viarum. Nel territorio di Santa Maria Capua Vetere sono stati previsti diversi interventi uno in corrispondenza dell’ex carcere borbonico, o meglio sul marciapiede adiacente all’ex carcere borbonico, uno in corrispondenza dell’arco cosiddetto di Adriano, uno in corrispondenza del Castellum Aquae e l’ultimo intervento presso la Domus di via degli Orti. In particolare quest’ultima area che già stata scavata alla fine degli anni 70 e gli inizi degli anni 80 sarà interessata da un ulteriore approfondimento di scavo.

Invece nel corso dell’intervento fatto in prossimità del Castello Acquae in sostanza abbiamo avuto la possibilità, anche in questo caso, di raccogliere nuovi elementi su quella che era la fisionomia del tessuto urbano dell’antica Capua. Come ad esempio il limite delle mura che circondavano la città sulla sul lato orientale, inquanto abbiamo trovato una parte delle mura in opera quadrata e oltre a questo abbiamo individuato un tracciato stradale che è perpendicolare al tracciato dell’Appia e che probabilmente corrispondeva alla via acquaria così detta proprio perché messa in relazione con l’acquedotto e quindi con il castellum acquae.

Per quanto riguarda la fruizione e la possibilità di accesso in effetti bisogna dire che le condizioni originarie di quest’area archeologica e soprattutto i dislivelli e le diverse quote non consentivano una piena fruibilità ed un accesso adeguato. Nel corso di questi lavori è stato fatto, invece, un intervento che mira a rendere accessibile l’area anche alle persone con disabilità, con un percorso dedicato. Quindi la prospettiva futura è quella di aprirlo al pubblico ma con la collaborazione del Comune e delle associazioni locali in modo tale da poter restituire in qualche modo questo bene alla comunità. Perché in fondo, l’obiettivo da un lato è la necessità di tutelare un territorio così importante, così ricco di beni culturali quale quello dell’antica Capua ma al tempo stesso è quello di restituire e di rendere fruibili questi beni in modo tale che la comunità locale li senta propri. E in buona sostanza, questo obiettivo ha anche la finalità di far sì che sia poi la comunità stessa a tutelare il bene, perché la tutela migliore e più importante è quella che sicuramente fanno gli enti preposti, ma anche deve e può fare la gente comune in maniera più efficace»

Dunque grazie al progetto Appia Regina Viarum avete messo mano a tutta una serie di interventi tra cui l’Arco di Adriano che anni addietro fu oggetto di un intervento di manutenzione del comune avvenuto sotto la vostra supervisione. Ci può anticipare quello che intendete fare per quest’ultima importante vestigia dell’antichità cittadina?

«Adesso anche sull’Arco di Adriano proprio nell’ambito di queste progettazioni previste in prospettiva e in relazione con la candidatura dell’Appia a sito UNESCO verrà realizzato un nuovo progetto di restauro conservativo. Si tratta soltanto di uno stralcio perché l’arco ha comunque la necessità di un intervento molto più consistente che si spera potrà essere realizzato in tempi non molto lunghi. Poiché il progetto dell’Appia Regina Viarum riguarda una progettazione a lungo termine prevediamo di fare comunque dei primi interventi di restauro conservativo»

Come dicevamo all’inizio dell’intervista lei è autrice di alcune pubblicazioni scientifiche, l’ultima in ordine di tempo è intitolata “Capua: la seconda Roma. Nuovi studi e ricerche”. Si parla, tra l’altro, di recenti scavi effettuati dai quali emergerebbero delle importanti testimonianze archeologiche dell’antica Casilinum. Ci può anticipare qualcosa?

«Certo, perché in effetti noi dobbiamo considerare che le attuali divisioni territoriali, non hanno una corrispondenza con quella che era l’organizzazione territoriale antica quindi, nel caso specifico, che stiamo parlando di Capua, l’antica Capua, aveva un’organizzazione che non corrispondeva ai confini dell’attuale Santa Maria Capua Vetere.

Noi attualmente non percepiamo questa complessità del territorio ma dobbiamo immaginare che il territorio di Santa Maria Capua Vetere aveva uno sbocco sul fiume Volturno attraverso Casilinum che corrisponde al territorio di Capua Nova, l’attuale Capua. Tanto è vero che ancora oggi la città viene attraversata ed ha una delle sue vie di comunicazione più importanti nel ponte sul Volturno di cui purtroppo si conserva ben poco della struttura originaria di età romana ma che ancora adesso rappresenta uno dei fulcri della città. E non a caso quando la città viene poi conquistata da Federico Barbarossa, fu proprio in quell’area, all’ingresso della città, che quest’ultimo realizzò le Torri Federiciane. Queste ultime di fatto riprendevano la viabilità antica perché appunto in quella zona poi passa il tracciato dell’Appia che sostanzialmente si ripartiva dalla via latina che proveniva da nord.

Quindi ci troviamo in un punto nodale e proprio l’approdo sul fiume Volturno ha dato a Capua anche in tempi molto antichi un ruolo di notevole importanza. Un ruolo che non era limitato soltanto alle aree circostanti ma si spingeva ben oltre. Nel momento in cui i greci arrivano sulla costa del Tirreno, prendendo possesso delle aree del Golfo di Napoli e fondando l’antica Colonia di Cuma, in quel frangente Capua assume un ruolo di primaria importanza perché è già un centro che comunque ha una sua struttura amministrativa e organizzativa. Non bisogna dimenticare che oltre ai comuni limitrofi che sicuramente fanno parte integrale dell’antica Capua, Il territorio dell’antica Capua, dal punto di vista agricolo aveva un’estensione vastissima che da un lato arrivava appunto fino alla piana Cumana e dall’altro arrivava fino alle terre del Falerno. Quindi non era un’estensione solo urbana ma anche di un’estensione territoriale agricola che faceva la fortuna di questa città»

Dunque un’importanza che aumentò a dismisura tanto da farle guadagnare qualche tempo dopo l’appellativo di altera Roma.

«Esatto. Poi appunto arriva, a un certo punto, il confronto con Roma e Roma ha sempre un atteggiamento di grande attenzione nei confronti di Capua, sia quando Capua è alleata, sia quando Capua si pone contro Roma. Non a caso proprio la costruzione dell’Appia in una prima fase ha la funzione di collegare Roma innanzitutto con Capua, tant’è vero che il tratto più antico quello che comincia ad essere realizzato nel 312 avanti Cristo da Appio Claudio Cieco è proprio il tratto che arriva fino a Capua perché l’importanza di Capua rendeva necessaria una comunicazione diretta con Roma»

L’Anfiteatro Campano

Continuando a parlare di libri scientifici c’è un’altra sua pubblicazione intitolata “L’archeologia Borbonica nel territorio dell’Antica Capua”. Ci può parlare di queste testimonianze borboniche?

«Bisogna dire che come del resto è ben noto, basti pensare, anche ad esperienze in altri territori, per esempio all’esperienza pompeiana dove la famiglia dei Borbone ha sempre avuto una grande attenzione per l’archeologia e in quegli anni vengono anche pensati e istituiti degli organismi che hanno proprio la funzione della tutela del territorio. Quindi il concetto di tutela del territorio sostanzialmente si comincia a sviluppare proprio da quegli anni e c’è una grande attenzione nei confronti dei monumenti e nei confronti dei ritrovamenti che vengono in effettuati in quel periodo motivo per il quale si sviluppa la necessità anche di cominciare a pensare a dei luoghi che custodiscono questi oggetti che provengono dagli scavi.

Tutta questa attenzione poi è anche legata a dei grandi interventi tipo, per esempio, la costruzione della ferrovia, che determinano una serie di attività che vanno a incidere su un territorio molto ricco di presenze archeologiche che vengono restituite in qualche modo alla conoscenza. Anche se con un concetto di tutela diciamo molto diverso da quello attuale: basti pensare che molti privati avranno la possibilità di avere le concessioni di scavo e quindi erano loro direttamente a seguire gli scavi e poi appunto diciamo a gestire in parte anche i rinvenimenti. Per cui parte venivano restituiti allo Stato parte invece entravano nel commercio antiquario e venivano venduti molto spesso anche all’estero da e per con una dispersione ovviamente del patrimonio che adesso e in parte custodito in diversi musei stranieri»

Infatti stiamo vedendo poi che si stanno recuperando poi i carabinieri in questi giorni in America stanno recuperando parecchi manufatti antichi.

«Beh quello però è un discorso diverso che non riguarda questo periodo storico ma riguarda invece il commercio clandestino purtroppo e quindi la dispersione di questo patrimonio in tempi anche molto più recenti con l’intervento appunto di scavi che non sono autorizzati e quindi di recuperi, furti che poi determinano la dispersione di questo patrimonio.

Purtroppo molti musei soprattutto americani nel corso del tempo hanno acquistato alcuni oggetti che poi sono risultati essere frutto di magari di operazioni illecite e quindi in questo, il ruolo del nucleo tutela carabinieri è un ruolo di grandissima importanza. Noi abbiamo sempre svolto attività in collaborazione con il gruppo tutela che sono una presenza costante sul territorio e da questa collaborazione e da questa sinergia che viene attuata con i carabinieri del gruppo tutela e anche possibile intervenire in maniera efficace e mettere in atto tutti gli strumenti di cui disponiamo per poter tutelare al meglio il nostro patrimonio»

Il Ponte Romano di Capua Nuova

Nel corso della sua attività alla soprintendenza c’è qualcosa di cui è particolarmente fiera, penso ad esempio ad un’apertura, un ritrovamento, un traguardo realizzato che le ha dato particolare soddisfazione?

«Diciamo che più che andare fiera, c’è la soddisfazione di vedere i risultati del lavori che si fa nel corso degli anni. Il risultato del lavoro, come le dicevo prima, non è solo tutelare i beni ma anche creare dei rapporti sinergici con le comunità in modo tale che questi beni possano avere una loro fruibilità. Certo alcune attività magari dal punto di vista archeologico possono essere di particolare impatto, di particolare importanza, penso per esempio alle attività svolte con i lavori del raddopio ferroviario con il ritrovamento di un tratto dell’appia nel comune di Maddaloni ma anche questi ultimi recenti lavori fatti nell’ambito progetto Appia Regina Viarum nel comune di Santa Maria Capua Vetere hanno dato la possibilità di verificare alcuni elementi che già si conoscevano sulla base di studi e della bibliografia che hanno avuto un riscontro concreto basti pensare al ritrovamento del basolato ritrovato in corrispondenza dell’ex carcere borbonico che si sviluppa da una delle due piazze della città, piazza albana, il foro albana ed un punto in cui l’appia entrava nella città presso quello che attualmente è il corso Aldo Moro e dove praticamente la strada diventa un elemento della struttura urbana della città corrispondendo con il decumano massimo»

Noi di Magna Capys siamo convinti che la storia dell’Antica Capua rappresenta il passato, il presente e il futuro delle nostre comunità. Fatta questa doverosa precisazione cosa consiglierebbe ad un giovane che vuole fare il suo lavoro?

Sicuramente l’attività archelogica in particolare quella di tutela è un’attività abbastanza complessa quindi il consiglio che si può dare è quello di approfittare degli anni di studio per far sì che la propria preparazione e le proprie conoscenze siano quanto più vaste possibili e anche l’attività come quella fatta da libero professionista non sempre è semplice e presenta delle difficoltà.

Quindi bisogna avere una buona preparazione, bisogna avere anche una forte convinzione delle scelte che si fanno ad operare e diciamo che questi sono gli elementi fondamentali. Parliamo anche di un attività che da un punto di vista dell’approccio si va continuamente trasformando anche con l’applicazione delle nuove tecnologie e quindi è necessario stare al passo con l’innovazione tecnologiche e non pensare che l’archeologia sia soltanto uno studio, un approccio tradizionale ma l’archeologia ha tanti molteplici aspetti anche tante specializzazioni e quindi incanalere i propri interessi a secondo quelle che sono le proprie competenze e le proprie conoscenze.

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